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Il marchese di Ruvolito |
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di Carmelo La Carrubba |
E’
vero i soldi risolvono tanti problemi ma non sono tutto. La risposta è
ne “Il Marchese di Ruvolito” di Nino Martoglio in cui un vecchio
aristocratico in miseria soddisfacendo la vanità di popolani diventati
ricchi sbarca il lunario inventando radici illustri a famiglie plebee.
Il capolavoro di Martoglio è lo spettacolo che ha aperto la stagione
teatrale al Teatro Brancati in cui ha modo di eccellere la maschera di
Tuccio Musumeci che nella sua essenzialità mantieneun briciolo di
umanità.
Il tema è quello antico della ricchezza caduta in mano
rozze che trattato in una certa maniera genera comicità. La commedia
martogliana rappresenta un microcosmo semplice che nella sua
elementarità dà volto a popolani e signorotti alcuni arricchiti altri
squattrinati, altri che vivono di espedienti per sbarcare il lunario
dispensando agli illusi, agli ingenui consigli, titoli nobiliari,
numeri al lotto.
La vicenda privilegia la storia di Prazzita
Timurata “ex rivendicola” che ha fatto i soldi con l’olio e il
formaggio, tanti soldi, ed ha la spocchia delle nuove arricchite in
cui col sostegno di una lingua che inciampa nelle pieghe
dell’ignoranza del personaggio e in certe situazioni, apparentemente
paradossali, creano risvolti comici irresistibili in cui ha modo di
venir fuori la brillante versatilità di Rossana Bonafede, che vuole
maritare la figlia Immacolata ad un cacciatore di dote, il “baroncello
di Mezzamodello”, cinico e spiantato ma sarà il Marchese di Ruvolito a
mandare all’aria i malsani progetti del baroncello adottando (donna
Prazzita dice “allattando”) il giovane Adolfo Giesi, pieno di soldi
fatti con sapone e potassa ma senza blasone consentendogli con
l’adozione di diventare Marchese di Gebbiagrande e di sposare
Immacolata, da cui è corrisposto, con l’entusiastico consenso di donna
Prazzita finalmente diventata madre di una marchesa “di curuna cch ‘i
gigghia, non con le palle” Anche il Marchese di Ruvolito salverà così
la sua casa dallo sfratto e tutti furono felici e contenti compreso lo
spettatore che dopo aver apprezzato l’esemplarità della maschera di
Tuccio Musumeci che fra battute, situazioni comiche e giochi di parole
che nella loro equivocità generano la risata ha avuto il privilegio di
assistere a dieci minuti di grande teatro comico all’inizio del
secondo atto quando il Marchese di Ruvolito affamato si immedesima nel
racconto di un succulento pranzo vivendolo come fosse vero:
manifestando la sua partecipazione solo attraverso pochi gesti e
qualche parola. Un capolavoro!
Ottima la regia di Giuseppe Romani
che asseconda Musumeci, dà i tempi scenici a una numerosa compagnia
(16 elementi) in cui primeggiano Rossana Bonafede, Turi Giordana,
Maria Rita Sgarlata, Riccardo Maria Tarci. E, a seguire, Roberto
Andronico, Fabio Costanzo, Antonio Castro, Donatella Lotta, Enrico
Manna, Savi Manna, Claudio Musumeci, Luigi Nicotra, Marina Pugliesi,
Raniela Ragonese, Giovanni Strano.
Le scene di Susanna Messina
ricalcano l’interno di abitazioni patronali d’epoca in cui si svolge
la vicenda così come i vivaci e sontuosi costumi delle Sorelle
Rinaldi. Funzionali i movimenti coreografici di Silvana Lo Giudice.
Ben si adattano alla vicenda parole e musica di Pippo Russo.
Pubblico attento al primo atto, plaudente dal secondo atto con inizio
irresistibile fino all’epilogo.