“Bello di papà” è la storia del partenopeo Antonio, avaro ed egoista, quarantenne dentista che convive con una milanese, Marina, che non si decide a sposare e con cui non ha alcuna intenzione di avere figli perché attanagliato dal complesso di Peter Pan. La fidanzata, interpretata da Biancamaria Lelli, è una bella ragazza dal fisico prorompente e dai mezzi seducenti e da donna innamorata non vuole rinunciare ad avere un figlio con lui. Ella vuole indurre il suo uomo a superare ogni timore per diventare padre ma di fronte alla sua ritrosia, determinata nel suo intento, si pone ora in maniera deduttiva ora da inganno nei suoi confronti. Per cui in combutta col suo migliore amico – pur di abituarlo al ruolo di padre – crea una situazione che lo coinvolga. Essendo il suo amico caduto in depressione per la perdita del padre vero ha bisogno di un padre per cui lo psicoanalista crea, a suo modo, le condizioni per la guarigione: lo psicoanalista in ipnosi fa regredire l’amico quarantenne in un ragazzo di otto anni e propone che la terapia della durata di un mese si svolga in casa dell’amico che gli dovrà fare da padre. Creata questa situazione tutto diventa comico e paradossale e può liberarsi così il talento comico del protagonista che ha delle battute nette, chiare, di quelle che non lasciano dubbi e sono pronunciate con la tempestività richiesta dalla comicità che ha quei tempi e non altri e Salemme e la sua equipe li interpretano magistralmente per più di due ore creando un modo di ridere pieno, sonoro, dirompente e contagioso per chi non vuole lasciarsi andare. Le trovate e le battute sempre fresche e nuove si rincorrono creando situazioni mai banali e finalizzate ad una comicità che svela l’ansia e l’insicurezza del maschio contemporaneo che non vuole assumersi responsabilità di padre e nello stesso tempo mostra le difficoltà che ha a dialogare con le donne.
La satira di Salemme investe tutti i personaggi di questa storia che per un verso o per l’altro vivono questi temi e queste situazioni. Anche perché il testo è ben strutturato e le situazioni comiche ben calibrate anche quando sembra che siano estemporanee grazie alla perfetta esecuzione dei tempi comici su cui si modellano le battute che suscitano sempre la reazione del pubblico con una risata larga, compiacente, anche quando il discorsosi fa serio e rimanda alla riflessione. In questo spettacolo oltre la maestria e la simpatia di Salemme c’è – come sopra detto – l’impiego di tutte le risorse del comico adoperate in maniera impeccabile anche dagli altri interpreti del cast, Massimiliano Gallo, l’antagonista, scatenato nel ruolo surreale di un finto bambino che gioca in scena ma anche in platea con il pubblico rendendo reale quello che è finzione, a Rosa Mirando nei panni della cognata manesca e prepotente, bravissima. A Giovanni Ribò, lo psicoanalista, che si destreggia fra impostura e apparente serietà professionale. Inoltre Domenico Aria, Roberta Fornilli, Antonio Guerriero, Adele Pandolci tutti bravi pur nella esagerazione dei ruoli come previsti dalla farsa, che si intreccia con la satira anche quando Salemme fa il verso lui napoletano al suo dialetto rispettandone però la saggezza di cui è portatore. Pubblico entusiasta per le tante risate; una cascata di applausi per Salemme, i suoi attori, lo spettacolo.
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