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      Ricordo di Gigi Macchi 
        
      
  Il 
		17 marzo del 1942 moriva l’avvocato Luigi Macchi, principe del Foro di 
		Catania, dai catanesi conosciuto come l’Onorevole. Mi è caro ricordarlo, a distanza di 70 anni, e come figlioccia in quanto 
		non ha lasciato allievi che ne continuassero il Suo magistero in quel 
		tribunale che lo vide protagonista nella prima metà del secolo scorso.
 Primogenito di una numerosa famiglia di origine lombarda ( ma la madre, 
		Luigia, era abruzzese ), dopo la laurea abbracciò la carriera politica 
		trasferendosi a Roma con sporadiche visite alla famiglia ( dei due 
		fratelli e tre sorelle, gli erano rimaste solo due sorelle, Teresa e 
		Maria Antonietta, detta Marietta ). Fu sottosegretario al Ministero 
		della Guerra nel Governo Facta e in tale veste fu un sostenitore della 
		realizzazione del Monumento al Milite Ignoto e forse il primo a 
		sostenere la necessità di unire la Sicilia al Continente mediante un 
		ponte.. Appartenente all’ala riformista di Turati, era stato vicino a De 
		Felice e ai Fasci Siciliani, poi fece parte degli Aventiniani e, per 
		questo, dichiarato decaduto da Mussolini.
 Tornò definitivamente a Catania nel cui studio si incontravano alcuni 
		antifascisti, tenuti d’occhio discretamente dalla polizia politica che 
		li considerava “antifascisti da tavolino” e non aveva torto dato che si 
		limitavano a parlare male di Mussolini, raccontare le ultime barzellette 
		su Storace, sperare nell’ulcera di Mussolini per levarsi di torno il 
		dittatore.
 Ricordo nettamente quando questi venne in visita a Catania credo nel ’37 
		, non so in quale occasione e il suo corteo doveva passare sotto la casa 
		di Gigi Macchi che ordinò a servitù e sorelle di tenere ben chiuse le 
		persiane. La casa era ad angolo di via Umberto e via Francesco Crispi, 
		al primo piano e nello sventolio di bandiere e folle festanti degli 
		altri palazzi, spiccavano quelle persiane ostentatamente chiuse. O 
		meglio, non tutte. Perché io, bambinetta di pochi anni, non volevo 
		perdermi quello spettacolo e supplicai mio zio ( come lo chiamavo ) di 
		farmi affacciare. Me lo consentì, facendomi sgusciare fuori dalla parte 
		inferiore delle persiane e vidi chiaramente come Mussolini, in auto 
		scoperta e sorridendo agli applausi della folla, notando quei balconi 
		chiusi, si aggrottasse e si volse al prefetto ( o segretario federale, 
		non so ) a domandare spiegazioni che gli furono fornite e lo fecero 
		diventare scuro in volto.
 Scapolone impenitente, amante della buona tavola ( benché diabetico ) 
		della musica e della donne, ospitava nei suoi saloni i più noti artisti 
		lirici che venivano a cantare al Massimo Bellini e ricordo – fra i tanti 
		– Gianna Pederzini, Titta Ruffo, Galliano Masini, Sara Scuderi e 
		soprattutto Gina Cigna con la quale, seppi in seguito, c’era 
		“un’affettuosa amicizia”.
 Fu un intransigente antifascista: quando, tornato a fare l’avvocato 
		qualcuno gli fece intendere che se avesse messo una “sordina” alla sua 
		opposizione al regime, Mussolini lo avrebbe ricompensato! rispose 
		sdegnato : “ Chi è stato deputato in un libero Parlamento non può 
		diventare un lacchè di un maestruncolo”.
 Colpito da ictus, forse per il dolore di avere visto condannare un suo 
		difeso della cui innocenza era convinto, non potè vedere la caduta del 
		regime, ma lasciò un testamento spirituale in cui ribadiva la sua 
		incrollabile fiducia nella sconfitta del Nazifascismo e che fu 
		pubblicato da “La Sicilia” dopo l’arrivo degli Alleati.
 Questa rievocazione ritenevo doverosa nel ricordo di un grande catanese 
		e di un convinto democratico.
      
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