Racconto 
 

 

 

Domenica delle palme

 


Luigi Ursino dei Marchesi di Catalfamo contemplava la sua preziosa raccolta di succulente e cactacee. Anni di accurate ricerche, di studi, di pazienti cure avevano creato quella sterminata collezione di piante, ammirate da chiunque entrasse nel giardino del marchese, arroccato su quella splendida baia da cui si godeva lo straordinario panorama dell’Etna e della lontana ma ben visibile nei giorni di cielo terso, Calabria. Passeggiava pensoso tra i vialetti ghiaiosi, si chinava a spostare una fogliolina, aspirava a pieni polmoni l’aria marzolina ancora fredda, le mani incrociate dietro la schiena.

Ripensava a quella telefonata ricevuta poche ore prima. “Niente da fare, Gigi, non c’è nessuna possibilità. La legge parla chiaro, non ti possono dare il permesso. Non te la prendere. Pensa invece a campare ancora cent’anni.  Ah e tanti auguri per Pasqua, se non ci sentiamo prima.”
Già. Era la Domenica delle Palme. E, come ogni anno, anche quest’anno i venditori delle palme erano riusciti ad entrare nel suo giardino e strappare le foglie tenere per intrecciarle e venderle agli angoli delle strade e dinanzi alle chiese.
Ebbe un brivido e lentamente rientrò nella villa. Il suo cameriere  tunisino, Ahmed, gli venne incontro.

“Ha telefonato la signora marchesa. Ha detto che per oggi non rientra, che il signor marchese può pranzare quando vuole.”
Già. Come ci fosse stato bisogno di avvertirlo. Come se non avesse saputo che neanche quel giorno sarebbe rientrata. Ormai era cosa vecchia. Alzò le spalle.
“Va bene Ahmed. Più tardi ti dirò quando preparare per il pranzo. Per ora non mi disturbare. Per nessun motivo?”
Si ritirò nel suo studio dall’ampia vetrata da cui si godeva l’incomparabile panorama della baia. Quella baia da lui tanta amata, al punto da fare richiesta al vicino comune di S. di poter essere sepolto, alla sua morte, nel suo giardino. Richiesta respinta, come gli aveva comunicato il suo amico poco prima.
Si sedette nella poltrona accanto al caminetto già acceso. La Pasqua cadeva alta, quell’anno, e il freddo era ancora pungente e la villa molto ventilata. Restò a fissare le fiamme e gli ultimi anni della sua vita cominciarono a scorrere nella sua mente.


Quando era cominciata quella stupida storia?
Non sapeva come definire altrimenti, Luigi Ursino, quello che era accaduto negli ultimi otto anni. Una stupida storia, nient’altro. E come definire in altro modo quello che aveva fatto uno stimato nobile sessantenne, nel suo ambiente considerato un uomo serio, composto? Un uomo sposato da trentenni con una sua coetanea, Altrettanto nobile, Myriam Torre dell’Annunziata, un matrimonio tranquillo coronato da due figli, un maschio e una femmina, ormai sposati anch’essi e che gli avevano dato tre amatissimi nipotini. Un uomo dalla vita forse monotona ma da lui vissuta con serenità, fra le sue amate succulente, la sua collezione numismatica, la scelta dei vini, il cognacchino dopo cena, le sue letture di “gialli”. Una vita vissuta fra la villa in città, circondata da un ben curato giardinetto che fino agli anni ’60 era all’estrema periferia e poi, con il boom edilizio, era stata come inglobata fra alti e anonimi palazzi e la villa a mare, appunto, la sua amata villa a Turcoli. Arroccata su un costone, nascosta fra alti pini marini, araucarie, cipressi e maestose palme, aperta a sontuosi ricevimenti specie in occasione delle nozze dei figli o dei battesimi dei nipotini.

Questa era stata la sua vita fino a quel maledetto giorno. Stupida la sua vita? No, stupido lui, Luigi Ursino marchese di Catalfamo a cadere nella trappola. Si, perché a distanza di otto anni, finalmente aveva capito che era caduto come un cretino nella trappola che gli era stata preparata. Che banalità! Un uomo di sessant’anni perdere la testa per la vedovella amica  di vecchia data di sua moglie e di cui aveva tenuto a battesimo il figlio. Poteva esserci niente di più banale, stantio, quasi una pochade di cui tutta la Catania bene aveva sonoramente riso. E, siccome in quei giorni l’Etna aveva emesso boati e qualche lingua di lava, qualche bello spirito aveva commentato:” Magari ‘a muntagna si sta scasciannu da ‘i risati!”

Ma in quei giorni, no, lui non si era reso conto di nulla, si era lasciato irretire, sedurre, proprio così, sedurre come in un vecchio feuilleton dalla maga che sapeva circuirlo, vezzeggiarlo, farlo sentire giovane. Aveva risvegliato i suoi sensi, ormai sopiti da tanti anni di convivenza con Mjriam, ottima moglie ma non certo seducente amante a letto. Myriam era stata educata rigorosamente dalle suore come si conveniva negli anni Trenta per una nobile discendente di alto casato. In fondo il loro era stato un matrimonio tranquillo senza scosse, Luigi si occupava dell’amministrazione dei loro beni, in massima parte degli Ursino da quando il fratello maggiore Giovanni, era morto a trent’anni in guerra, durante una incursione su Malta ed essendo ancora scapolo, titolo e consistente eredità erano andati a lui; Myriam si dedicava ad opere pie ma amava anche viaggiare e spesso si recava in una missione cristiana in Africa.
I figli, Ernesto e Teresa, erano cresciuti senza dare troppi problemi, si erano sposati facendo ottimi matrimoni e dandogli tre nipotini, uno dei quali portava il suo nome e avrebbe continuato la stirpe degli Ursino di Catalfamo.
Si, una vita tranquilla, senza grosse preoccupazioni, con piccole ma sicure gioie, la cura delle sue piante grasse, i suoi cani, ma anche le visite dei nipotini, qualche serata con amici di vecchia data con cui scambiare quattro chiacchiere, fumando un finissimo “avana”, sorseggiando un cognacchino, spettegolando bonariamente su qualche conoscente, infiammandosi – ma sempre moderatamente – sul campionato di calcio, lui da sempre juventino.
Per anni, decenni la sua vita era trascorsa così e mai nulla lo aveva turbato, mai che avesse avuto un pentimento, una sensazione di noia, di insoddisfazione, un brivido al pensiero o alla visione di una donna vista al cinema o incontrata casualmente.
Perché? Perché aveva perduto tutto questo? Come era potuto accadere l’irreparabile?

Irreparabile? No! Avrebbe potuto ristabilire l’equilibrio rotto da quella maledetta volta quando si era lasciato travolgere da quella strega. Sarebbe bastato allontanarla, troncare sul nascere la tresca. Ma lei, Lilli, sapeva come giocare con lui, come eccitare i suoi sensi da tanto tempo sopiti, vezzeggiarlo, bamboleggiare, fargli provare sensazioni mai vissute prima. Poteva continuare anche così, un gioco eccitante ma segreto. Ma una lettera anonima (non poi tato anonima per chi conoscesse il carattere integerrimo ma anche irruente di Myriam) informò la marchesa Ursino della tresca, fornendole anche il giorno, l’ora e il minuto in cui avrebbe potuto coglier sul fatto i traditori. Tutto si svolse come l’autore o l’autrice della lettera aveva previsto. La marchesa finse di partire, tornò indietro, li colse sul fatto e invece di intimare alla traditrice di prendere bagagli e bagattelle e non farsi più vedere, urlò che non avrebbe più  messo piede in quella casa finché quella ( si trattenne a stento dal dire la parolaccia) non fosse sparita.

Era quello che Lilli voleva. Sapeva che Luigi Ursino colpito nel suo orgoglio non avrebbe mai accettato l’ultimatum della moglie. Come un toro si era incornato, ubriacato dalle parole suadenti, dai gesti sensuali di quella donna. L’eco della scenata della marchesa Myriam giunse in città, se ne parlò nei salotti della Catania bene, le donne a difenderla, gli uomini, sotto i baffi, quasi ad invidiare Luigi che si stava godendo la vita con la vedovella. Certo i primi mesi erano stati ubriacanti, gli sembrava di essersi scrollato di dosso decine di anni e la polvere di tanti anni uggiosi, si sentiva pieno di energia e alzava le spalle dinanzi all’ostracismo di tanti suoi amici che evitavano di salutarlo se ll’incontravano. Fingeva di non vedere le scritte ingiuriose comparse sui muri delle strade che portavano alla sua villa Di non sentire i sussurri e le risatine dietro le spalle degli abitanti di Turcoli, quegli stessi che, prima, si scappellavano al suo passaggio.
Una piaga, però si era aperta nel suo cuore: i suoi figli si erano schierati con la madre e non lo avevano più voluto incontrare, impedendogli pure di vedere i suoi adorati nipotini.


Guarda le foto sul tavolo dinanzi a lui, Luigi Ursino: guarda con gli occhi velati le foto di Andrea, di Gisella e di Gigetto, il nipote che porta il suo nome, quello che tramanderà la schiatta degli Ursino di Catalfamo. Sono vecchie foto, scattate quando i nipoti erano ancora bambini e non era ancora arrivato l’uragano che avrebbe sconvolto la sua vita.
Erano passati otto anni, ora certo Andrea era già un giovanotto e Luisella una signorina e Gigetto? Un ragazzino in gamba, un piccolo campione di nuoto e Luigi Ursino ne aveva seguito i primi successi nelle cronache sportive del giornale locale.
La bufera aveva colpito anche loro, vittime innocenti della sua stoltezza: e non solo privandoli dell’affetto del nonno ma derubandoli di tutto il patrimonio che sarebbe stato da loro ereditato. Già perché Lilli non aveva mirato solo al titolo di marchesa che le spettava dopo il matrimonio ma poco a poco era riuscita a farsi intestare tutto quello che Luigi possedeva e, subito dopo, a vendere e comprare a suo nome ville, terreni, azioni, gioielli.


“Stupido vecchio imbecille” Rimuginava Luigi Ursino, quella Domenica delle Palme. Si era fatto togliere tutto, il palazzo in città, l’agrumeto di Paternò, le case di Palazzolo Acreide, paese di origine della sua stirpe, un vasto terreno edificabile vicino a Turcoli e, perfino, quella sua villa sul mare. Là dove avrebbe voluto essere seppellito.
Ma il ciclo della sua vita ormai stava per chiudersi. Pochi giorni prima aveva saputo che Lilli aveva già venduto ad un industriale milanese la villa e il suo amico gli aveva comunicato che non era assolutamente possibile essere sepolto nel giardino della sua villa, tra le sue amate piante e vicino alle fosse dei cani che negli anni, gli erano stati fedeli e silenziosi amici.
Ai suoi piedi stava accucciato Selim, l’ultimo dei suoi cani, un maestoso mastino napoletano. Era vecchio anche lui, mezzo cieco e ormai si muoveva pesantemente. Negli ultimi giorni quasi presentisse il dramma gli stava ancor più vicino, lo seguiva passo passo e ora era accucciato ai suoi piedi, il muso sulle sue scarpe.


Luigi Ursino ebbe un ultimo pensiero “domenica è Pasqua. Mi dispiace fare questa sorpresa ai miei nipoti ma per “lei” sarà una mala Pasqua.
Almeno lo spero”
Trasse la mano dalla tasca. Impugnava una pistola. Due colpi secchi. Uno per Selim. Uno per lui.