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      La crisi del teatro     
		Le recenti polemiche sui fondi, prima 
		tolti e poi ridati alla cultura e spettacolo mi ha fatto riflettere 
		sullo stato del Teatro al momento attuale – per farlo – debbo partire da 
		lontano e da esperienze personali. Da giovane studentessa avevo, verso 
		il teatro, un atteggiamento distratto. Fresca di studi crociani, non 
		consideravo il teatro una forma d’arte come la poesia e la letteratura. 
		Andavo si a teatro per tenermi aggiornata ma continuavo a vederlo con 
		distacco. Eppure ricordo un “Cyrano” con Gino Cervi, i mitici “Gobbi” , 
		le commedie di Patroni Griffi con la storica “Compagnia dei Giovani”. Fu 
		dopo aver assistito ad una messa in scena estiva al Chiostro dei 
		Benedettini di “Molto rumore per nulla” con la suddetta compagnia che 
		fui fulminata come – mi si passi l’accostamento – Saul sulla via di 
		Damasco.L’incontro con - un allora sconosciuto – Glauco Mauri – mi spalancò il 
		mondo del Teatro e da quel momento ho assistito a tante recite, alcune 
		veramente memorabili che sono rimaste impresse nella mia memoria.
 Ed eccoci al punto, cioè ad oggi. Cos’è il Teatro, oggi?
 Non riesco più ad emozionarmi, anzi le uniche sensazioni che provo o di 
		noia o di indignazione. Proprio d’indignazione quando vedo stravolti 
		testi immortalati nella storia del teatro, resi irriconoscibili, 
		scempiati con la pretesa di volere “attualizzare”! Come se lo spettatore 
		non fosse in grado di cogliere il messaggio universale di Sofocle, 
		Shakespeare, Pirandello, Goldoni.
 Andiamo a teatro per rivedere i grandi capolavori e ci troviamo davanti 
		ad un Apollo con cilindro e smoking, uno Shyilock con una flebo infilata 
		in vena e un’infermiera mezza-nuda che sculetta, una madre di Turiddu 
		che sembra una tenutaria di bordello, e nel campo lirico un Escamillo 
		che entra in scena calando da un ascensore o la lotta degli insorti 
		siciliani contro i Francesi dei Vespri siciliani divenire una rivolta 
		contro i mafiosi.
 Registi e direttori artistici si lamentano perché diminuiscono gli 
		spettatori e invece di farsi un esame di coscienza se la prendono col 
		pubblico oppure danno la colpa alla difficile situazione economica. 
		Sono una del pubblico e vedo le sale semi-vuote, gente che si allontana 
		durante l’intervallo, ascolti e commenti degli abbonati delusi o, 
		spesso, indignati, so di tanti che non hanno rinnovato l’abbonamento o 
		si propongono di disdire il prossimo anno.
 Il pubblico è composto – in maggioranza – da gente che, se va a 
		vedere un classico, vuol trovare “quel” classico e non la follia di 
		un regista e il pubblico dei giovani bisogna che sia educato a vedere 
		un’opera nel suo contesto. Perché non è più possibile vedere l’Adriano 
		di Albertazzi, l’Edipo di Mauri, l’Enrico IV di Randone, il Cyrano di 
		Cervi?
 Se non esistono più i grandi attori, almeno i registi cerchino umilmente 
		di rispettare i grandi autori e si sbizzarriscano con i nuovi (ammesso 
		che ci siano!).
 
           
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