Appunti di viaggio    

 

 

Carmen alla Scala

 

Vorrei proprio sapere a chi sia venuta l’idea, lo scorso anno, di affidare la regia della “Carmen” al Teatro alla Scala , ad Emma Dante. Probabilmente ad uno che non amava quest’opera o che non aveva mai assistito ad una regia della sunnominata. Io, che da bambina ho amato quest’opera e che covavo, da sempre il sogno di gustarmela nel Tempio della musica – la Scala di Milano – quando lessi la notizia ebbi quasi un infarto. Avevo già visto un lavoro della Dante al Teatro Musco di Catania “Carnezzeria” e mi ero ripromessa di evitare altre serate simili. Lessi con attenzione le recensioni della “prima” alla Scala ed era tutto un trionfo anche se non mancavano, tra le righe, accenni a fischi dei loggionisti alla regista. Ma non volevo rinunziare al desiderio covato da anni e devo pure precisare che ho visto parecchie edizioni della “Carmen”, fra le peggiori ne ricordo una a Catania con un tenore con una gamba rigida e mediocre interprete ed una – televisiva – con la regia di Lina Wertmuller; mentre fra le più esaltanti – dopo quella indimenticabile con Gianna Pedersini intorno al ‘37/’38 – quella all’Arena di Verona con la regia di Zeffirelli. E a queste “Carmen” operistiche aggiungo le varie “Carmen” in film, in balletto, in videocassette e DVD.
Veniamo dunque, alla regia di Emma Dante, dando per scontata la perfetta esecuzione musicale e canora. Dire che Emma Dante ha stuprato “Carmen” è dire poco: la Siviglia Andalusa di fine ‘800, passionale, sanguigna, solare ma anche segnata dalla morte, la Siviglia delle vocianti sigaraie e dagli squillanti matadores è stata trasformata in una Spagna da Inquisizione, una Spagna di Filippo II, lugubre, funerea, dominata da incombenti crocifissi e laidi preti. Nulla che ci segnali la Spagna delle corride dove vita e morte si intrecciano indissolubilmente.
Immaginate una Micaela (treccia bionda e occhio azzurro) con una chioma scura, una Carmen vestita come una cameriera in vacanza, un don Josè e un Escamillo che nel secondo atto entrano nella taverna di Lillas Pastia scendendo da un ascensore; l’irrompere delle sigaraie del I° atto trasformato in una lenta processione di monache tutte in nero che poi, di colpo, si svestono mostrando gratuitamente cosce ed altro; e nel III° atto, mentre Micaela canta la sua romanza quasi al buio nel covo dei contrabbandieri, le luci illuminano un enorme crocifisso con preti ai suoi piedi di cui sfugge il significato. Mi fermo qui per non tediare oltre ma domando: che senso ha stravolgere così un capolavoro notissimo come la “Carmen” solo per il gusto di “innovare” “reinterpretare”? Ma continui la Dante a dirigere le sue opere applauditissime dai radical chic anche a Parigi ma lasci stare le grandi opere.
Come dice il proverbio “scherza coi fanti ma …”