Gli inizi della
cinematografia a città di Catania hanno rappresentato
un’importante espressione di quel verismo Questa osservazione minuta della realtà e del comportamento dell’uomo in determinate situazioni storiche e sociali , pur nelle secche di un clima espressivo condizionato dagli schemi ideologici del tempo, costituì un elemento risolutamente nuovo nel contesto di una produzione dominata da finalità propagandistiche di sostegno ai gruppi egemoni e alla loro visione del mondo. Si cominciò a parlare di
cinema a Catania ai primi del ‘900 e Martoglio ne fu un
capostipite. Fu allora che sorsero parecchie case di produzione, come la Morgana
Films,la Jonio Films e L’Etna Films, che fu la prima
impresa cinematografica cittadina e produsse un centinaio di films di
circa 1500 metri, che oggi rappresentano la normalità come lunghezza , ma
per quei tempi erano un lusso. Nel variegato panorama cinematografico catanese la figura più rappresentativa fu Nino Martoglio, che esordì nella veste di regista con il film : "Sperduti nel buio". Il tardo verismo rappresentato dai films di Martoglio, attento ai fattori caratteristici del linguaggio popolare, utilizzava motivi contenutistici di certa produzione Italiana contemporanea che rientravano nel clima di riscoperta dell’uomo e del dramma quotidiano dell’esistenza. A questo proposito ricordiamo "Capitan Blanco", prodotto dalla Katana Films, dove il regista trae spunto dalla rappresentazione teatrale "Il Palio" , avente per protagonista Giovanni Grasso e Virginia Balistreri. Ai primi del 900 si ebbe il
primo esperimento di cinema scolastico per merito di Stefano Cremonesi
che pose in rilievo l’utilità didattica del cinema.
Sono comunque le esperienze cinematografiche di Musco e della Anselmi, che non resistono al fascino dello schermo, a portare vera linfa espressiva al cinema catanese. Opere come "S.Giovanni Decollato" , "L’aria del Continente", "Gatta ci cova" e altre accrescono decisamente il prestigio del cinema catanese in ambito nazionale. Nel 1948, dopo alcuni isolati tentativi, Luchino Visconti sbarcò ad Acitrezza con la sua troupe e girò un capolavoro del cinema neorealista, con attori presi dalla stessa località e ispirato al romanzo di Giovanni Verga "I Malavoglia". Il successo fu immediato e l’eco
che ne ebbe Visconti fu a carattere internazionale, compresi i premi. Poi,
smaltita la sbornia per questa improvvisa celebrità ci fu una lunga fase
di quiescenza della cinematografia di produzione o ambientazione
siciliana.
Se per Brancati il sesso era
tortura dei sentimenti, per Patti fu qualcosa di estroverso e mondano sia
pure a volte venato di languore e nostalgia. Fu proprio dai racconti di
questi scrittori catanesi che parecchi registi di grande spessore come Luigi
Zampa, Mauro Bolognini, Alberto Lattuada, Marco
Vicario, trassero sceneggiature realizzate nel meraviglioso scenario
etneo.
Si tratta di film famosi come "Il bell’Antonio",
con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale (Bolognini),
premiato con la Vela d’oro al Festival di Locarno nel 1960, "Don
Giovanni in Sicilia" (1966, A. Lattuada), "Paolo il Caldo"
(1973, Marco Vicario) , "La governante" (1974, Gianni
Grimaldi) protagonista il grande Turi Ferro, "Un bellissimo
novembre" (1969, M. Bolognini) tratto dal romanzo di Ercole
Patti con Gina Lollobrigida e Gabriele Ferzetti e l’Etna
a fare da sfondo
alle passioni, "Virilità" di Marco Cavara del 1973
prodotto da Carlo Ponti con Turi Ferro e poi "La seduzione"
di F. Di Leo prodotto nel 1973, con Agostina Belli e Marc
Porel. Passato questo momento, che
definirei splendido per Catania, pieno di idee, di uomini,di buon gusto,
ci furono diversi tentativi di cinematografia. La città negli anni Ottanta, soprattutto Via Crociferi, fece da sfondo all’opera di Franco Zeffirelli, tratto dal romanzo di Verga "Storia di una Capinera" dove ancora una volta vennero esaltate le atmosfere dilatate e i paesaggi tipici dell’agro catanese.In fondo Catania, con i suoi sogni e i suoi desideri inespressi, ha dato un importante apporto al cinema Italiano, al Neorealismo, al mito della Sicilia, dove i personaggi presi isolatamente, potrebbero apparire seri, o addirittura drammatici, ma bastano una battuta e una rapida inquadratura del contesto a svelarcene l’intrinseca comicità, il fondo farsesco.
Lui ama spesso definirsi “l'operaio dello spettacolo", un uomo che ha contrastato le insidie dell'industria cinematografica perché capace di conquistare ogni tipo di pubblico, con i suoi travestimenti, la farsa e le sue maschere indossate solo nel piccolo schermo.
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